OBIETTIVO:
definire il tasso di attacco primario e secondario e differenziarlo dall'incidenza
Il tasso di attacco (attack rate) può essere considerato un caso particolare di incidenza, che trova applicazione quando l'esposizione al determinante (o ai determinanti) di malattia è avvenuta per breve durata, e di solito su popolazioni chiuse, o ben definite e a numerosità limitata.
Si tratta quasi sempre di focolai di malattia «a sorgente comune», ossia nei quali tutti i casi di malattia hanno avuto origine da un'unica esposizione (es. avvelenamenti, esposizione a radiazioni, somministrazione di una razione contaminata da salmonelle ecc.).
In medicina umana, l'utilizzo tipico del tasso di attacco si ha nei casi di tossinfezione alimentare.
Poiché - come già detto - l'esposizione è di breve durata, il tasso di attacco rappresenta una sorta di incidenza cumulativa: infatti, una volta esauritosi il focolaio, non vengono più osservati nuovi casi derivanti da quella esposizione, anche se il periodo di osservazione viene prolungato indefinitamente.
Anche per le malattie neonatali (ossia quelle che si verificano entro pochi giorni dalla nascita) potrebbe essere più indicato parlare di tasso di attacco piuttosto che di incidenza.
Il tasso di attacco si calcola come D/(D+N), dove D indica il numero di casi di malattia che si verificano in un determinato lasso di tempo, mentre N indica gli animali a rischio rimasti sani nel periodo:
ESEMPIO. In un acquario contenente 43 pesci tropicali si è verificato un guasto al riscaldatore, e la temperatura dell'acqua ha subíto, per la durata di 16 ore, una diminuzione di 12 gradi (16 °C rispetto ai 28 °C previsti). Prima del guasto i pesci erano in buona salute. Nelle 48 ore dopo il guasto, lo shock termico ha provocato la morte di 12 esemplari. Il tasso di attacco risulta quindi:
12/(12+31) = 0.28 = 28% in 48 ore.
Si tratta di un tasso di attacco, e non di una incidenza, in quanto la causa ha agito su tutti i soggetti per un tempo definito e limitato. Anche se si prolungasse il periodo di osservazione anche ben oltre le 48 ore dell'esempio, non si osserverebbe più alcun nuovo caso.
Una misura di frequenza collegata al tasso di attacco è il tasso di attacco secondario.
Il tasso di attacco secondario si applica esclusivamente alle malattie trasmissibili, e indica la proporzione dei casi (detti casi secondari) che si sviluppano per contatto con uno o più casi primari entro un tempo corrispondente al periodo di incubazione della malattia. Per «caso primario« (detto anche «caso-indice»), si intende il primo animale (o i primi animali) della popolazione che si ammala della malattia trasmissibile in questione.
Nell'uomo i casi secondari sono spesso rappresentati dai familiari, oppure dai compagni di scuola, o dai colleghi di lavoro. In medicina veterinaria, i casi secondari sono quasi sempre gli animali appartenenti allo stesso gruppo o allo stesso allevamento.
I casi che si verificano in tempi successivi al periodo di incubazione del caso primario derivano verosimilmente dal contatto con i casi secondari, e sono quindi detti casi terziari.
È evidente che anche il tasso di attacco secondario è un tipo particolare di incidenza. Esso rappresenta una buona misura della contagiosità della malattia nelle circostanze in questione, ossia della sua capacità di trasmettersi da un ospite all'altro.
Nello schema che segue viene illustrato un esempio di andamento di un focolaio di una malattia trasmissibile originato da un singolo caso-indice, che ha dato origine a casi secondari e a casi terziari.
NELLA PROSSIMA UNITÀ:
si illustra, per mezzo di uno schema metaforico, le interrelazioni esistenti fra incidenza e prevalenza di una malattia, derivanti anche all'effetto della durata della malattia.