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Lo screening alla prova dei fatti

OBIETTIVO:

- simulare l'esecuzione di uno screening e ricordare che i test non sono infallibili

- differenziare i test patognomonici da quelli non patognomonici


Prima di iniziare una azione di screening, tutti gli animali della popolazione di interesse ti sembrano apparentemente sani. Simuliamo uno screening su una popolazione si composta da 32 cani, rappresentati nello schema seguente:

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Se tu fossi... dotato di ultravista come Superman, potresti vedere che in realtà alcuni animali sono ammalati, come segue:

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Purtruppo tu non sei dotato di ultravista, e per individuare gli ammalati devi sottoporre tutti gli animali ad un test. Però, un test non fornisce quasi mai risultati perfettamente rispondenti alla realtà. C'è sempre un certo rischio - o meglio, una certa probabilità - che il test risulti «positivo» in un animale che in realtà è sano. Esiste anche il rischio inverso, cioè che il test risulti «negativo» in un animale ammalato. Insomma: non si può essere del tutto sicuri che un test... dica il vero. Vedrai nelle prossime Unità la complessità di problemi che derivano da tale situazione.

Continuiamo la simulazione sulla popolazione di 32 cani, ipotizzando che 24 siano risultati test-negativi e 8 test-positivi. Nella pratica, in effetti i dati che otterrai dallo screening sono proprio solo e soltanto questi: 24 test-negativi e 8 test-positivi.
Quando eseguirai un test nella pratica, ti chiederai: «fra i test-positivi, quanti sono davvero malati (positivi veri)?». Ed anche: «fra i test-negativi, quanti sono davvero sani (negativi veri?)». Troverai nelle Unità che seguono la risposta a queste domande. Per ora, è sufficiente che tu ti renda conto soltanto dell'esistenza del problema, che viene illustrato in questo schema:

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Se tu fossi Superman, vedresti che:

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a) 6 cani ammalati (colore magenta) sono risultati test-positivi (positivi veri)
b) 2 cani sani sono risultati test-positivi (positivi falsi, cerchi verdi)
c) 1 cane ammalato è risultato test-negativo (negativo falso, cerchio azzurro)
d) i restanti cani sani sono risultati test-negativi (negativi veri)

Test patognomonici e non

Gli innumerevoli test disponibili in medicina veterinaria possono essere suddivisi, in base all'affidabilità dei risultati da essi forniti, in due categorie: test «patognomonici» e «non patognomonici».

Test patognomonico:
se il test è positivo, l'animale è sicuramente ammalato (impossibili falsi-positivi, possibili falsi-negativi)

Test non patognomonico:
se il test è positivo, c'è una certa probbailità che l'animale sia ammalato (possibili falsi-positivi, possibili falsi-negativi)

Il termine «patognomonico» è mutuato dalla medicina clinica: un sintomo di malattia si dice patognomonico quando indiscutibilmente serve a riconoscere una malattia, e quindi è presente solo e soltanto in pazienti affetti da quella malattia e non da altre.

Analogamente un test patognomonico è un test che, quando fornisce esito positivo, indica con certezza la presenza del carattere ricercato.

Quasi tutti i test impiegati in medicina sono non-patognomonici; in altre parole, essi - siano positivi o negativi - non forniscono un risultato certo, ma soltanto probabile. Pertanto, alcuni dei risultati positivi forniti da un test non patognomonico saranno positivi-falsi, così come alcuni negativi saranno negativi-falsi.

Al contrario, un test patognomonico non genera mai risultati positivi-falsi, ma può fornire risultati negativi-falsi.

ESEMPIO. Supponiamo di utilizzare un test per l'individuazione di bovini infetti da Brucella abortus, agente della brucellosi bovina. Un test sierologico, che ha lo scopo di individuare la presenza di anticorpi specifici, fornirà sicuramente, oltre a risultati positivi-veri e negativi-veri, anche risultati positivi-falsi e negativi-falsi.
I positivi-falsi possono comparire - ad esempio - nel caso in cui l'animale abbia subìto infezione da parte di un microrganismo antigenicamente simile a Brucella abortus, come Yersinia enterocolitica tipo IX, che induce la formazione di anticorpi simili a quelli di Brucella.
Un risultato falso negativo verrà invece ottenuto, ad esempio, saggiando il siero di una bovina che si è infettata assai recentemente, e che quindi non ha ancora prodotto anticorpi specifici. Il test sierologico è quindi un test non patognomonico.
 
Supponiamo ora di perseguire lo stesso scopo (individuazione delle bovine infette) utilizzando un altro test: l'esame colturale del latte delle bovine allo scopo di dimostrare la presenza di Brucella. In caso di positività, la bovina non potrà essere che infetta, non essendo il batterio ubiquitario né commensale; in altre parole, una bovina che elimina Brucella con il latte è sicuramente affetta da brucellosi.
Se invece l'esame colturale del latte risulta negativo, non potremo essere sicuri dell'assenza di infezione: infatti gli animali infetti eliminano le brucelle con il latte in maniera intermittente. Pertanto, l'esame colturale del latte per la diagnosi di brucellosi è un test patognomonico.

Da quanto finora esposto, si potrebbe trarre la conclusione che i test patognomonici sono migliori di quelli non patognomonici. Questo non sempre è vero. Infatti, nel giudicare un test «migliore» di un altro, occorre tenere presente una serie di fattori e considerazioni, che verranno discussi - almeno in parte - nelle prossime unità. Basterà qui sottolineare come, nell'esempio precedente, il test patognomonico abbia i seguenti svantaggi su quello non patognomonico: costo molto più elevato; frequenza molto più elevata di falsi-negativi; necessità che l'animale sia in lattazione ecc.

NELLA PROSSIMA UNITÀ:
viene illustrato il modo di tabulare i risultati di un test dicotomico (ossia che fornisce un risultato di tipo qualitativo vero/falso) utilizzando una tabella a due entrate (tabella di contingenza). La tabella permette di incasellare i risultati in una delle 4 classi possibili.

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